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SICUREZZA ALIMENTARE: DIMEZZARE IL CONSUMO DI CARNE

L’Onu nel 2019 ha lanciato l’allarme: “Il danno ambientale al Pianeta è talmente grave da minacciare l’intero ecosistema e la salute delle persone, se non si intraprendono azioni urgenti”.

Gli allevamenti intensivi, responsabili del 15% delle emissioni di gas serra riconducibili all’attività umana quali anidride carbonica, metano, protossido di azoto, vanno ridotti.

Secondo la Fao, l’allevamento è l’attività che usa più terra in assoluto: quasi l’80% di tutti i terreni agricoli sono utilizzati nelle coltivazioni per la produzione di mangimi e a pascoli. Per quel che riguarda il consumo di risorse idriche è stato accertato che un chilo di carne bovina necessita di circa 15.400 litri d’acqua, 4.325 per il pollame, 4.055 per i legumi e 322 per un chilo di verdura. Inoltre i terreni agricoli utilizzati per produrre mangimi stanno eliminando foreste e aree incontaminate e, di conseguenza, la biodiversità.

Nel 2016 i ricercatori della National Academy Of Science statunitense hanno calcolato l’efficienza energetica della produzione della carne: l’1,9% delle calorie dei mangimi si converte in prodotto animale.

Dai dati Fao emerge che oltre il 20% di tutta la produzione annuale viene persa lungo l’intera filiera, a partire dall’azienda agricola, durante il processo di trasformazione e lavorazione, nei negozi, i ristoranti e in ambito domestico. In pratica viene buttato via l’equivalente di quello che oggi mediamente consumano un miliardo e mezzo di persone.

Con il miglioramento delle disponibilità economiche, negli ultimi 50 anni il consumo di carne si è impennato. Negli anni Sessanta il consumo medio a persona in Cina era inferiore a 5 chili all’anno, oggi è salito a 60. In Brasile, invece è raddoppiato dal 1990 a oggi. Fa eccezione l’India dove la mucca rimane sacra: meno di 4 chili all’anno per abitante (ma mangiano più pollo). In Africa centrale e nel Sud Est asiatico invece non si superano i 10 chili l’anno.

I primi in classifica sono Australia, Stati Uniti, Argentina e Nuova Zelanda: oltre i 100 chili all’anno per abitante (neonati compresi). In Europa, dove il consumo medio è di 90 kg, l’Italia è il Paese dove se ne mangia meno: 79 chili.

Le carni bianche non hanno controindicazioni provate, mentre un’analisi dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro basata su 800 studi epidemiologici ha definito le carni rosse come potenzialmente cancerogene e quelle trasformate (affumicate, salate, stagionate) come certamente cancerogene. In sostanza mangiare drasticamente meno carne rossa protegge la nostra salute e quella del pianeta. Secondo gli esperti si possono dare a tutti le proteine che servono aumentando del 20% la produzione di legumi e l’equivalente valore calorico coltivando più grano, riso, patate, che richiedono anche un minor consumo di risorse.

Se per il bene di tutti noi occorre dimezzare gli allevamenti intensivi di bovini, la domanda è: come mantenere l’enorme occupazione dirottandone la metà nella produzione di cibo sostitutivo? Nessuno ha voglia di trovarsi disoccupato per il bene del pianeta. Per ora ci sono solo i suggerimenti della Fao: rimuovere i sussidi economici statali al settore zootecnico nei paesi più sviluppati, riconvertire i terreni dove le produzioni di mangimi stanno sfigurando il pianeta e dare più attrezzature a quelle popolazioni dove c’è un allevamento di sussistenza per renderlo più profittevole. Siamo però lontani dal processo di riconversione. Potrebbe essere innescato dai consumatori: se cominciamo a modificare le nostre abitudini alimentari con una dieta più sana, l’industria si adegua, poiché è noto che il mercato segue sempre la domanda.

Fonte: Il Corriere della Sera

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