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MICROCLIMA

Con il termine “microclima”, riferito all’ambiente termico, si intende il complesso dei parametri ambientali temperatura, umidità relativa e velocità dell’aria, che condizionano lo scambio termico tra individuo e ambiente.

Un microclima confortevole è quello che suscita nella maggioranza delle persone presenti una sensazione di soddisfazione relativamente alla sensazione termica. Quando l’individuo si trova in uno stato di soddisfazione nei confronti dell’ambiente, si parla di “comfort termico” ovvero quello stato di neutralità termica dell’organismo che rappresenta la condizione nella quale l’equilibrio viene mantenuto col minimo impegno dei meccanismi di regolazione fisiologica. Tale condizione ottimale si verifica solo se i parametri ambientali temperatura, umidità relativa e velocità dell’aria sono opportunamente graduati. 

Questo tipo di valutazione non riguarda solo l’ambiente indoor ma interessa anche le attività umane svolte all’aperto. I parametri personali sono descrittori specifici dell’individuo e dell’attività che svolge. I parametri ambientali dipendono in esterno esclusivamente dalle condizioni meteorologiche, mentre l’ambiente indoor è influenzato sia dalle condizioni climatiche esterne, sia dalle caratteristiche dell’involucro. Tra queste, ad esempio, hanno rilevanza i materiali di cui è composto l’edificio, la coibentazione degli ambienti, la posizione, la presenza o meno di impianti tecnologici per il ricambio dell’aria, ecc…

La valutazione del microclima in ambiente di lavoro è importante sia perché rappresenta un vincolo normativo contemplato nel D.Lgs. 81/08, che inserisce il microclima tra gli agenti di rischio di tipo fisico, sia perché concorre in modo determinante al raggiungimento della condizione di comfort termico e quindi permette di valutare lo stato di rischio dell’individuo nell’ambiente in cui lavora.

Dal punto di vista microclimatico gli ambienti si dividono in due categorie:

  1. Moderati;
  2. Vincolati o severi (caldi e freddi).

Per “moderati” si intendono gli ambienti caratterizzati da condizioni di comfort termico realisticamente perseguibili. Sono caratterizzati da condizioni ambientali omogenee, da assenza di scambi termici localizzati uomo-ambiente e da attività lavorativa che comporta modesto impegno fisico e simile tra i vari compiti o mansioni. Questi ambienti possono essere solo di tipo indoor.

Gli ambienti “vincolati o severi” sono, invece, quei luoghi nei quali le condizioni di comfort termico non sono realisticamente perseguibili poiché il sistema di termoregolazione è sottoposto ad un elevato grado di intervento nel tentativo di raggiungere la condizione di equilibrio termico. Questo determina una persistente condizione di stress termico nei soggetti esposti; l’obiettivo di questi ambienti, che possono essere anche outdoor, è la tutela della salute dei lavoratori.

Spesso, soprattutto in passato, le situazioni di disagio all’interno dei luoghi di lavoro legate alle condizioni microclimatiche sono state sottovalutate e, a volte, addirittura ignorate. In realtà i disagi derivanti possono avere un impatto anche significativo sia sulla salute fisica che sul benessere psicologico dei lavoratori, con ricadute non trascurabili sull’economia aziendale se poi si riflettono, come può accadere, in giorni di assenza o di malattia.

Riguardo agli aspetti normativi, l’Allegato IV al punto 1.9, definisce i requisiti minimi che i luoghi di lavoro devono possedere per poter risultare conformi e quindi garantire condizioni di benessere adeguate. Il primo aspetto preso in considerazione è quello relativo alla aerazione dei luoghi di lavoro chiusi, che deve essere sempre garantita preferenzialmente con finestre e, qualora non possibile, con impianti di aerazione periodicamente controllati, mantenuti funzionanti in modo da non esporre i lavoratori a correnti d’aria diretta.
Un altro aspetto è quello della corretta regolazione della temperatura, che deve essere adeguata in considerazione dei metodi di lavoro e degli sforzi fisici previsti.
Infine anche il grado di umidità assume un ruolo importante; questa deve essere sempre tenuta sotto controllo e mantenuta all’interno di livelli adeguati, compatibilmente con le esigenze tecniche del lavoro.

L’applicabilità delle linee guida definite dalla normativa dipende dalla natura del luogo di lavoro e dall’attività che lì si svolge; la regolazione delle condizioni in un ambiente di lavoro chiuso e destinato, per esempio, ad attività prevalentemente d’ufficio, risulta più semplice rispetto a situazioni lavorative che prevedono un’attività fisica continua, in spazi ampi o che espongano i lavoratori a condizioni climatiche esterne non favorevoli.
In questi casi la normativa prevede, laddove non sia possibile intervenire con impianti specifici, l’adozione di misure tecniche (quali protezioni dal freddo per ambienti termici severi freddi) e organizzative (pause frequenti, lavoro notturno per ambienti termici severi caldi) rivolte a migliorare le condizioni dei lavoratori.
Gli eventuali rischi da esposizione a temperature disagevoli sono soprattutto di natura fisica, anche se è importante non sottovalutare alcuni aspetti psicologici.
Un forte stress termico o esposizioni prolungate a temperature non adeguate o a correnti d’aria dirette, possono provocare malesseri fisici a carico dell’apparato respiratorio, muscolo scheletrico, gastro intestinale, fino ad arrivare, in casi estremi, a colpi di calore o di freddo con conseguenze anche gravi sull’intero organismo.

Il metabolismo energetico (M) detto anche tasso metabolico, rappresenta l’energia termica generata all’interno del corpo umano che può essere distinta in: “metabolismo basale”, necessario al funzionamento degli organi vitali, e “metabolismo legato all’attività” del soggetto. L’unità di misura è il met. La misura diretta del tasso metabolico avviene con metodi specifici che richiedono l’utilizzo di laboratori o ambientazioni e prove preparate ad hoc, pertanto non facilmente riproducibili in ambienti reali durante la normale attività lavorativa.

Nelle valutazioni ambientali di tipo igienistico è sufficiente usare tabelle che consentono di determinare il tasso metabolico in relazione all’attività svolta. La norma di riferimento è la UNI EN ISO 8996 che fornisce una serie di prospetti mediante i quali è possibile correlare i valori riportati all’attività osservata nell’ambiente di lavoro.

La resistenza termica del vestiario rappresenta la resistenza del vestiario, considerato congiuntamente allo strato d’aria presente tra pelle e vestiti, oppure al flusso termico. L’unità di misura è il clo. La misura della resistenza termica del vestiario è complessa e poco praticabile in ambienti reali durante l’attività lavorativa; viene presa in laboratorio in camera climatica, mediante metodi e misure che prevedono l’utilizzo di manichini immobili, vestiti e riscaldati elettricamente.

Tra i parametri ambientali, quelli da prendere in considerazione sono:

  • Temperatura dell’aria, cioè la temperatura dell’aria ambiente in cui il soggetto svolge la propria attività;
  • Temperatura media radiante, che caratterizza gli scambi termici radiativi e dipende dalla temperatura di tutte le superfici che si trovano attorno al soggetto;
  • Umidità relativa, espressa in termini di pressione parziale di vapore e definisce il grado igrometrico presente;
  • Velocità dell’aria, che influisce sugli scambi termici che avvengono per convenzione.

La norma cui si fa riferimento è la UNI EN ISO 7726.

La varietà degli ambienti lavorativi e delle molteplici attività che in questi si possono eseguire, non consente di indicare delle linee guida precise e standardizzate applicabili a tutti i luoghi di lavoro.
Basta pensare, ad esempio, alle grandi attività industriali, in cui gli operai lavorano utilizzando macchinari e strumentazioni che producono calore, o agli addetti dell’industria alimentare che eseguono attività in cui vengono utilizzate celle frigorifere per la conservazione dei prodotti. In queste situazioni il datore di lavoro dovrà eseguire un’attenta valutazione dei rischi correlati all’esposizione a temperature difficili o a improvvisi sbalzi termici, sfruttando tutte le misure tecniche, organizzative e procedurali volte a garantire prevenzione e protezione dal rischio.

Il fine del monitoraggio strumentale è caratterizzare l’ambiente termico in esame e ottenere un risultato attendibile dal punto di vista tecnico e rappresentativo dell’esposizione, cogliendo le situazioni di rischio, individuando le criticità e mettendo in atto soluzioni tecniche e/o organizzative di riduzione del rischio. Bisogna, quindi, condurre un’accurata indagine conoscitiva preliminare di tutti i fattori che possono avere un’incidenza non trascurabile sul processo valutativo. Molti sono riconducibili alle caratteristiche dell’edificio e/o del singolo ambiente, disposizione degli ambienti interni, presenza di impianti di ventilazione, forma dell’edificio, ecc…

Una componente importante da considerare in fase di valutazione dei rischi da inadeguato microclima è anche quella dell’affollamento del luogo di lavoro; per esempio ambienti in cui lavorano tante persone contemporaneamente espongono i lavoratori sia a rischi diretti di natura microclimatica, come gli adeguati ricambi d’aria, sia a rischi indiretti di natura più soggettiva e psicologica, quali stress da affollamento, sensazione di mancanza d’aria, rischio biologico da trasmissione interpersonale.

Un microclima confortevole è quello che suscita nella maggioranza degli individui una sensazione di soddisfazione. L’indice PMV (voto medio previsto) rappresenta il voto di un individuo per l’ambiente in cui si trova e deriva dalla media dei voti espressi dal campione posto in determinate condizioni. La variabilità individuale nella percezione dell’ambiente termico determina una dispersione dei voti attorno al valore medio di PMV.

La norma UNI EN ISO 7730 fornisce un programma di calcolo per ricavare il PMV. La norma introduce tre classi: A, B, C. La classe A rappresenta un ambiente con livello di comfort più elevato, la B è la classe intermedia e la C definisce l’intervallo limite di accettabilità. L’indice PMV consente di esprimere una valutazione sulle condizioni di comfort globale, ovvero sulla sensazione termica di un soggetto correlata ai valori medi delle variabili ambientali. L’accettabilità del comfort globale è condizione necessaria ma non sufficiente a garantire una situazione di benessere.

Gli ambienti severi caldi sottopongono il sistema di termoregolazione ad un elevato grado di intervento al fine di ridurre l’accumulo di calore nel corpo del soggetto esposto. Si determina per il lavoratore una persistente condizione di stress termico con l’attivazione dei meccanismi di difesa previsti dall’azione termoregolatrice. Quando questi meccanismi non risultano pienamente efficaci nel mantenere condizioni organiche accettabili si determina un progressivo aumento della temperatura del nucleo corporeo. I metodi di valutazione del rischio determinato da esposizioni ad ambiente severo caldo sono finalizzati in ottica prevenzionistica a contenere l’accumulo termico, attraverso la previsione e controllo dell’incremento di temperatura del nucleo corporeo correlato all’esposizione. Per gli ambienti severi caldi, le norme tecniche di riferimento sono la norma UNI EN ISO 7243 e la norma UNI EN ISO 7933

Gli ambienti severi freddi sono quelli in cui esistono vincoli produttivi e/o ambientali tali per cui il comfort termico è un obiettivo non realisticamente perseguibile e l’obiettivo è la tutela della salute dei lavoratori esposti. La valutazione del rischio è finalizzata in ottica prevenzionistica a contenere la dispersione termica con l’obiettivo limite che la temperatura non scenda al di sotto di 36°C. Per gli ambienti severi freddi, le norme tecniche di riferimento sono la norma UNI EN ISO 15743 e la norma UNI EN ISO 11079.

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