La pandemia causata dal Covid-19 ha avuto impatto su tutto il tessuto sociale, familiare, politico e lavorativo. Il mondo del lavoro è stato rivoluzionato dall’introduzione della modalità a distanza: lo smart working. Questo stravolgimento del contesto sociale e lavorativo, ha portato a rivedere regole e approcci di prevenzione ormai consolidati sostituendoli con nuove forme di tutela generalizzata per tutti i lavoratori. L’INAIL ha classificato il contagio da Covid-19 infortunio sul lavoro definendolo un rischio biologico generico, per il quale occorre adottare misure uguali per tutta la popolazione. Nella Fase 2 in cui tutte le aziende hanno potuto riaprire, su indicazione del Governo col D.P.C.M. 17 maggio 2020, le stesse hanno dovuto fare i conti con le nuove misure organizzative per contrastare il Coronavirus.
Nel “Protocollo di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” emesso in data 14 marzo e poi ripreso ed aggiornato in data 24 aprile, sono state elencate poche disposizioni, ma chiare, sulle linee guida da adottare per le aziende che dovevano riaprire le sedi. I principi generali di tutela da contagio per i lavoratori elencati nel Protocollo sono:
- attuazione del massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile per le attività che potevano essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza;
- incentivazione di ferie e congedi retribuiti per i dipendenti nonché gli altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva;
- sospensione delle attività dei reparti aziendali non indispensabili alla produzione;
- assunzione (e attuazione) dei protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non fosse stato possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro come principale misura di contenimento, l’adozione di strumenti di protezione individuale;
- incentivazione delle operazioni di sanificazione nei luoghi di lavoro, anche utilizzando a tal fine forme di ammortizzatori sociali;
- raccomandazione, per le sole attività produttive, che limitino al massimo gli spostamenti all’interno dei siti contingentando l’accesso agli spazi comuni;
- incentivazione, limitatamente alle attività produttive, delle intese tra organizzazioni datoriali e sindacali;
- massimizzazione, per tutte le attività non sospese, all’utilizzo delle modalità di lavoro agile.
La figura professionale più rilevante per la garanzia dell’applicazione delle misure previste dal Testo Unico Sicurezza dopo il datore di lavoro, cioè il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, non è mai citata nel Protocollo nazionale, a differenza di tutte le altre.
Il Protocollo nazionale, in diversi punti, riprende diversi adempimenti del D.Lgs. 81/2008 e diventa, in molti casi, un’appendice al documento di valutazione dei rischi delle aziende per dimostrare la valutazione dell’impatto COVID-19. La mancata attuazione del Protocollo non assicura adeguati livelli di protezione e comporta la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza rendendo così la salute dei lavoratori e la salubrità degli ambienti in cui operano più importanti rispetto al perseguimento dell’interesse economico. È fondamentale, quindi, tenere aggiornati gli strumenti di tutela a disposizione dell’azienda, nel caso specifico i Modelli Organizzativi, rivedendoli sia in termini di adeguatezza che di effettività nel prevenire il contagio.
Nella Fase 2 l’attenzione si è spostata sul rischio di contaminazione da virus, in quanto c’è stato un graduale ritorno alla normalità con i rientri in sede aziendale. Infatti fino a che il personale era in smart working l’aspetto correlato al rischio negli ambienti di lavoro era pressoché inesistente. Nella fase del rientro ci si è scontrati con un importante obbligo in capo ai datori di lavoro relativo alla necessità di adeguamento del DVR e alle misure di prevenzione e protezione correlate (distanziamento sociale, obbligo di mascherina FFP2/FFP3, sanificazione, protocolli sanitari, interventi tecnici, igiene e protezione personale).
Occorre ricordare che non esiste solo un’emergenza da COVID-19, ma anche altre emergenze come, ad esempio, incendio o infortunio sul lavoro, per questo ogni azienda deve essere in grado di gestire tali situazioni, avendo a disposizione addetti specializzati in situ.
Bisogna, comunque, prendere in considerazione anche le implicazioni da contagio da COVID-19 e le ripercussioni in merito ai reati colposi afferenti al D.Lgs.231/2001, relativi al tema antinfortunistico. Con l’emanazione della Circolare dell’INAIL non si è esclusa la punibilità dell’Ente, al quale spetta l’onere della prova nel dimostrare che, se l’infortunio da COVID-19 è avvenuto, questo non è imputabile alla mancanza delle misure di prevenzione e protezione messe in atto dall’azienda, soprattutto nei casi di infortuni con prognosi superiore a 40 giorni. Ciò si complica nei casi in cui i primi sintomi sono riscontrati negli ambienti di lavoro. Nella Fase 2 il compito dell’OdV, quindi, è richiedere l’integrazione dei flussi informativi dall’Ente, organizzare audizioni con le figure della sicurezza e, quando possibile, procedere ad audit specifici per verificare il presidio del processo di adeguamento e monitoraggio dei protocolli a tutela dei lavoratori, tenendo conto della evoluzione delle misure organizzative, tecniche, sanitarie e personali.